Potere e strutture politiche nel medioevo

Una panoramica sull'Europa: le condizioni materiali
I secoli compresi tra la caduta dell'impero romano d'Occidente e l'incoronazione di Carlo Magno furono caratterizzati da un forte calo demografico, determinato dai saccheggi e dalle violenze delle invasioni barbariche e da frequenti epidemie di peste.

Il declino delle città e l'impoverimento della società 
Nell'Ottocento latino le città persero gran parte della loro importanza, cessarono di essere centri amministrativi: i funzionari dello stato, specialmente in Gallia, smisero di risiedere nelle città e preferirono trasferirsi nelle loro residenze di campagna.
Solo i vescovi rimasero all'interno dei centri urbani; in vari casi, si dovette unicamente a questo fatto la sopravvivenza della città stessa.
All'inizio del IX secolo, il sintomo più evidente della generale povertà in cui l'Occidente latino era sprofondato: i sovrani franchi cessarono definitivamente di coniare monete d'oro e si limitarono all'emissione di denari d'argento.
L'oro cessò di essere utilizzato come mezzo di scambio e fu utilizzato solo per rendere più splendide le chiese di Dio e dei suoi sacerdoti.

All'origine del sistema feudale 
All'epoca delle grandi migrazioni che provocarono il crollo dell'impero romano, gli eserciti dei popoli dei germani erano formati da tutti coloro che fossero capaci di portare le armi, cioè l'intera comunità dei maschi adulti.
Intorno alla metà del V secolo, penetrarono all'interno dell'impero romano, i franchi appartenevano al gruppo dei cosiddetti germani delle foreste. A differenza dei visigoti e degli ostrogoti, che erano i popoli della steppa, i franchi avevano scarsa familiarità con il cavallo e preferivano combattere a piedi. Con il passare dei decenni, anche loro si resero conto del fatto che il combattente a cavallo era molto più potente ed efficace del fante, ma tale superiorità della cavalleria divenne schiacciante solo all'inizio dell'VIII secolo, allorché si diffuse in Europa occidentale la staffa.
Così la staffa sostituiva alla forza umana l'energia animale.
Oltre alla lancia, il cavaliere aveva bisogno della spada, dello scudo e di un equipaggiamento di ferro che lo proteggesse.

Una società divisa
Verso la metà dell'VIII secolo, la società medievale era nettamente divisa: da una parte un piccolo gruppo di proprietari terrieri, dall'altra i contadini.
I signori più potenti e gli stessi sovrani iniziarono a concedere a molti di questi loro guerrieri delle terre da cui essi dovevano trarre di che vivere e di che armarsi.
Quando al guerriero che riceveva la terra dal signore, la parola più utilizzata divenne vassallo.
Il guerriero, dal canto suo, era tenuto a essere fedele al suo signore: nel mondo feudale e cavalleresco la fedeltà divenne il valore morale supremo. In caso contrario, al cavaliere infedele potrà essere sottratto e affidato a un'altro servitore più affidabile.

Il Sacro romano impero
papa leone III
Intorno alla metà del VIII secolo, il regno dei franchi era lo stato più vasto e potente dell'Europa Occidentale.
Nel 773 il re Carlo conquistò il regno dei longobardi, che comprendeva gran parte della penisola italiana. Carlo si trovò a governare un territorio enorme: dopo le invasioni germaniche e la caduta dell'impero romano, per la prima volta dopo secoli la maggior parte dell'Occidente si trovava di nuovo riunita sotto una sola autorità monarchica, come al tempo di Roma.
La notte di Natale dell'anno 800, a Roma, nella basilica di San Pietro, Carlo fu proclamato imperatore.
basilica di San Pietro
Nelle intenzioni di Papa Leone III, l'incoronazione di Carlo proseguiva quel primo accordo di alleanza. Il rituale utilizzato la notte di Natale dell'anno 800 è di evidente derivazione bizantina.
L'immagine di un sovrano che, in ginocchio davanti al pontefice, riceve dalle sue mani le insegne del potere, sottomettendosi a lui.
Papa Leone III si prostrò davanti a Carlo, il sovrano possedeva piena e completa sovranità anche sulla chiesa, riteneva che Dio l'avesse affidata alla sua protezione.
Così sulla base della sua nuova dignità, Carlo poté sentirsi legittimamente investito di un nuovo ruolo, cioè insignito di carica di vero e proprio capo della cristianità e incaricato da Dio di provvedere a tutti i suoi bisogni, compresi quelli spirituali.

L'ereditarietà dei feudi
Alla morte di Carlo, il Sacro romano impero si disgregò molto rapidamente.
All'inizio, il feudo non era di proprietà del vassallo: alla morte del beneficiario, tornava al signore, che ne disponeva liberamente. La situazione cambiò radicalmente a partire dall'anno 877, concesse ai grandi vassalli il diritto di trasmettere i loro feudi ai propri figli, per via ereditaria.
Intorno al mille, Germania e Francia erano ormai definitivamente separate sotto il profilo sia politico, sia linguistico.
Nel corso del X secolo, i feudatari più ricchi e potenti si erano trasformati in principi autonomi, nei confronti dei quali i sovrani non erano affatto in grado di imporre la propria autorità.

Ottone I
Il sacro impero romano germanico
Nel 962, il duca di Sassonia Ottone si proclamò imperatore e diede vita al sacro impero romano germanico. Sostenendo di aver ricevuto il potere direttamente da Dio, Ottone I si considerò il vero capo supremo della Chiesa.
Spinse Ottone a rivendicare per se il diritto di eleggere e di deporre i pontefici. Ottone iniziò a investire i vescovi del titolo e dei poteri di conte, il cui compito era quello di rappresentare il sovrano nelle varie parti del suo dominio.
L'obiettivo di Ottone I era quello di poter contare sulla fedeltà e l'obbedienza di almeno una parte di coloro che amministravano il potere a livello locale e ricevevano il feudo dal sovrano, per fornirgli in cambio aiuto e sostegno militare.

La lotta per le investiture
Nicola II
Nicolò II proclamò che nessun laico poteva interferire nell'elezione del potere, affidata esclusivamente al collegio dei cardinali vescovi. Dopo la designazione del papa, si sarebbero state solo l'approvazione da parte del rimanente clero romano e l'acclamazione del popolo, ma nessuna conferma o ratifica da parte dell'imperatore.
L'elemento rivoluzionario del decreto di Nicolò II consiste nel fatto che rifiutava completamente il carattere sacro della monarchia.

Gregorio VII
Gregorio VII e l'apice del contrasto
Nel 1073, venne eletto papa Gregorio VII: fu sotto di lui che lo scontro con l'imperatore raggiunse il vertice della sua violenza.
Dictatus Papae, redatto nel 1075. Si tratta del primo e fondamentale testo nel quale il papato romano rivendicava per sé ogni potere e si pone sopra dei vescovi e dei sovrani sia in campo ecclesiastico sia in campo politico.
Con Gregorio VII , la chiesa iniziò a trasformarsi in una vera monarchia centralizzata e assoluta nella persona del papa.
In virtù del Dictatus il papa diventava fonte di diritto, nel senso che poteva emanare nuove leggi; in passato era stata una facoltà tipica dei concili, cioè delle assemblee che riunivano i vescovi di una data regione o, nel caso del concilio ecumenico, di tutta la cristianità.

Lo scontro con l'imperatore Enrico IV
Secondo Gregorio VII, l'imperatore e il papa si collocavano su un piano di assoluta superiorità, secondo il dictatus papae, tutti i principi dovevano baciare il piede del pontefice, in segno di omaggio.

La reazione dell'impero
Matilde di Canossa 
Enrico IV, fedele alla tradizionale concezione ottomana, aveva ricevuto da Dio anche l'incarico di guidare e amministrare la chiesa. Lo scontro esplose nel 1075; dopo che Gregorio ebbe ribadito il divieto dell'investitura dei vescovi da parte di un laico.
Gregorio si difese lanciando contro Enrico la scomunica, che potrebbe essere definita come una sorta di atto di espulsione della chiesa e comportava l'obbligo per tutti i credenti di cessare ogni rapporto con colui che fosse stato colpito dal provvedimento del papa.
Nel gennaio del 1077, Canossa, nella rocca della contessa Matilde, GregorioVII aveva trovato ospitalità e protezione, Enrico IV fu costretto a umiliarsi in pubblicamente.
Questo atto spettacolare non segnò affatto la fine dello scontro, dopo l'apparente trionfo del papa registrò i suoi episodi più gravi: l'occupazione della città di Roma da parte dell'imperatore, dopo che Enrico IV era stato scomunicato una seconda volta.


Il papa ribadisce la superiorità del potere spirituale
Gregorio VII inviò a Ermanno, una lettera nella quale precisava il suo punto di vista.
Il tema centrale dello scritto era la negazione della sacralità del potere regale; i re non possono in alcun modo essere considerati personaggi sacri, perché la sacralità è connessa unicamente con la celebrazione dei sacramenti, esclusiva dei sacerdoti.
A questo punto si capisce bene per quale motivo Gregorio avesse combattuto contro il fenomeno del concubinato dei sacerdoti.
Per Gregorio VII, il fatto che i profeti fossero celibi significava accentuare la diversità tra coloro che appartenevano all'ordine sacerdotale e il resto del popolo cristiano.
Secondo Gregorio VII, nessun re aveva mai compiuto miracoli, la maggior parte dei principi era formata da uomini arroganti e violenti, destinati alla dannazione eterna.
L'autorità dei re non solo veniva completamente desacralizzata, ma addirittura posta sotto la tutela della figura del papa, che pretendeva per sé il monopolio della sacralità del potere.

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