Dante: Il De monarchia
Anche Dante Alighieri aveva un'altra concezione dell'autorità politica, la poneva in diretto collegamento con Dio, e proprio per questo respingeva le pretese ierocratiche di Bonifacio VIII.
Il poeta fiorentino espresse le proprie idee, in un trattato intitolato De monarchia, composto probabilmente negli anni 1311-1312.
Il De monarchia è articolato in tre libri. Nel primo, Dante espone le ragioni per cui Dio ha istituito l'autorità imperiale. Secondo l'autore, questa scelta divina è la logica conseguenza del fatto che l'uomo possiede una duplice natura: materiale e spirituale.
Di qui la decisione divina di fornire a questa singolare creatura una coppia di strumenti e una coppia di guide, che permettano all'uomo di raggiungere le due mete cui egli deve tendere: la felicità terrena e la beatitudine celeste.
Per raggiungere la prima, lo strumento privilegiato è la ragione, così come il principale mezzo che permette di ottenere la salvezza eterna è la fede; quanto alle guide, mentre il papa è il garante della vita religiosa, l'imperatore ha il compito di emanare leggi sagge e razionali, che permettano agli uomini di vivere nella serenità e nella pace.
Nel secondo libro del De monarchia, Dante sostiene che l'esercizio dell'autorità imperiale spetta di diritto al popolo romano.
Secondo Dante, le vittorie di Roma sono il frutto di un preciso disegno provvidenziale, che ha voluto radunare tutte le genti della terra sotto un'unica guida temporale, in vista della diffusione del Vangelo.
Infine, nell'ultima parte dell'opera, Dante ribadisce che l'imperatore riceve l'autorità di governare il mondo direttamente da Dio e che il Papa, non deve pretendere di controllare anche il potere temporale.
La conclusione del De monarchia da un lato attribuisce un enorme valore alla vita terrena, alla dignità dell'uomo e a tutti quei comportamenti che lo distinguono dagli animali. Dall'altro, un atteggiamento mentale emergerà solo alla fine del XV secolo, con il Rinascimento, non ha dubbi che il cielo vale più della terra.
Il poeta fiorentino espresse le proprie idee, in un trattato intitolato De monarchia, composto probabilmente negli anni 1311-1312.
Il De monarchia è articolato in tre libri. Nel primo, Dante espone le ragioni per cui Dio ha istituito l'autorità imperiale. Secondo l'autore, questa scelta divina è la logica conseguenza del fatto che l'uomo possiede una duplice natura: materiale e spirituale.
Di qui la decisione divina di fornire a questa singolare creatura una coppia di strumenti e una coppia di guide, che permettano all'uomo di raggiungere le due mete cui egli deve tendere: la felicità terrena e la beatitudine celeste.
Per raggiungere la prima, lo strumento privilegiato è la ragione, così come il principale mezzo che permette di ottenere la salvezza eterna è la fede; quanto alle guide, mentre il papa è il garante della vita religiosa, l'imperatore ha il compito di emanare leggi sagge e razionali, che permettano agli uomini di vivere nella serenità e nella pace.
Nel secondo libro del De monarchia, Dante sostiene che l'esercizio dell'autorità imperiale spetta di diritto al popolo romano.
Secondo Dante, le vittorie di Roma sono il frutto di un preciso disegno provvidenziale, che ha voluto radunare tutte le genti della terra sotto un'unica guida temporale, in vista della diffusione del Vangelo.
Infine, nell'ultima parte dell'opera, Dante ribadisce che l'imperatore riceve l'autorità di governare il mondo direttamente da Dio e che il Papa, non deve pretendere di controllare anche il potere temporale.
La conclusione del De monarchia da un lato attribuisce un enorme valore alla vita terrena, alla dignità dell'uomo e a tutti quei comportamenti che lo distinguono dagli animali. Dall'altro, un atteggiamento mentale emergerà solo alla fine del XV secolo, con il Rinascimento, non ha dubbi che il cielo vale più della terra.
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