La fine del conflitto, Il problema dell’intervento, I sostenitori dell’intervento, La guerra dei generali, Da Caporetto alla vittoria, Repressione e propaganda

La fine del conflitto
Nel marzo del 1918 l’esercito tedesco iniziò un attacco per sfondare il fronte occidentale ma si concluse con un insuccesso. Pur sapendo che la Germania non era più in grado di resistere il governo non voleva più cominciare trattative di pace.
L’esercito iniziò ad ammutinarsi e l’esercito austro-ungarico si arrese, alla fine il kaiser abdicò e venne proclamata la repubblica di Germania. L’11 dicembre 1918 finì la guerra.
La Germania era stata sconfitta perché non aveva retto il peso di una guerra di logoramento combattuta da sola. Secondo Hitler la colpa era del Marxismo, quindi la Germania aveva perso per colpa della rivoluzione che aveva diviso il paese.

Il problema dell’intervento
Nel 1914 l’Italia era alleata dell’Austria e della Germania con la triplice alleanza, quindi il generale Luigi Cadorna sollecitò il re per far entrare l’Italia in guerra. Tuttavia il governo guidato da Salandra decise che l’Italia sarebbe stata neutrale perché la triplice alleanza era a scopo difensivo.
I nemici della Germania cercarono di convincere la Germania a entrare in guerra dalla loro parte perché la triplice alleanza era nata solo per frenare l’espansionismo francese in Italia. 
L’idea di entrare in guerra in Italia generò una frattura dell’opinione pubblica divisa in interventisti e neutralisti. Tra i neutralisti si schierava Giolitti, che aveva intuito che la guerra sarebbe stata troppo logorante e che gli eserciti italiani non sarebbero stati pronti. Anche la chiesa riteneva che l’Italia non sarebbe dovuta entrare in guerra per una questione morale. Anche i socialisti riformisti erano neutrali perché i proletari non avrebbero beneficiato della guerra. 
Tuttavia nessuno riuscì a fare un progetto efficace contro l’entrata in guerra.

I sostenitori dell’intervento
Tra gli interventisti c’erano i democratici che pensavano alla guerra come parte del processo di unificazione nazionale per liberare dagli austriaci le regioni irredente (Trento e Trieste). Se la Germania fosse stata sconfitta tutte le nazionalità oppresse in Europa sarebbero state liberate.
Poi c’erano i socialisti rivoluzionari perché credevano che la partecipazione ad un conflitto così vasto avrebbe portato alle condizioni ideali per una rivoluzione interna per far trionfare il proletariato, tra questi Benito Mussolini.
Poi c’erano i nazionalisti guidati da Corradini che volevano la guerra per trasformare l’Italia in una grande potenza. Corradini divideva le nazioni in Borghesi e proletari, i borghesi avevano un impero proprio ed erano ricche, le proletarie tra cui l’Italia non erano ancora affermate.
I due tipi di nazione erano ancora in conflitto fra di loro.
Per corredini bisognava eliminare il socialismo e anche la democrazia.
Tra gli intellettuali che sostengono corredini c’è Gabriele d’Annunzio. Anche i futuristi ricevevano la guerra come uno strumento liberatorio, tra questi Papini, Filippo Tommaso Marinetti che esaltavano la guerra come pulizia del mondo.



La guerra dei generali
Nel 1915 ci furono molte manifestazioni dell’intervento in guerra. La più importante fu a Genova a cui Salandra e il re non parteciparono e quindi presero piede le posizioni interventiste. 
Il governo italiano firmò il patto di Londra impegnandosi a entrare in Inghilterra contro l’Austria in cambio di Trento, Trieste, Alto Adige, Istria e Dalmazia.
Poiché la guerra iniziasse bisognava rendere valido il patto di Londra, Giolitti diventò il simbolo del passato e nelle piazze ci furono scontri violenti tra interventisti e neutralisti. Salandra diede le dimissioni e il re che voleva l’intervento in guerra gli diede di nuovo l’incarico.
Il 24 maggio l’Italia entrò in guerra.
L’esercito italiano era guidato da Luigi Cadorna che obbediva soltanto al re. La sua strategia era l’offensiva mantenuta ad ogni costo, tuttavia questa tecnica era già stata usata in Francia ed era fallita quindi, l’esercito italiano fu condannato a gravi perdite. La guerra per l’Italia si svolse in trentino e sul Carso. In trentino fu una guerra di montagna durissima e l’esercito subì anche una spedizione punitiva da parte degli austriaci nel 1916 a seguito di questo Salandra si dimise.
Invece sul Carso ci fu un conflitto come quello della Francia e l’esercito italiano non riusciva a sfondare le linee nemiche.
Nell’agosto del 1916 l’esercito italiano conquistò Gorizia ma non riuscì a sconfiggere gli austriaci. Le perdite furono pesantissime.

Da Caporetto alla vittoria
Il 28 agosto 1916 l’Italia dichiarò guerra all’impero germanico. A Caporetto i tedeschi utilizzarono la tecnica dell’infiltrazione per arrivare a sfondare le linee nemiche. Per l’esercito italiano fu una grandissima sconfitta perché era impreparato ad affrontare questa tecnica.
L’episodio più grave della ritirata dell’esercito italiano fu sul fiume Tagliamento dove tutte le vie di comunicazione furono bloccate dai soldati che scappavano.
Molte province italiane furono occupate dagli austriaci che arrivarono vicino a Venezia.
La dominazione austriaca fu durissima e gli austriaci fecero razzie e violenze e Cadorna diede la colpa della sconfitta alla truppa.
A Novembre del 1917 Cadorna venne esonerato e il comando passò a Diaz. A livello politico la disfatta di Caporetto provocò una crisi. Il presidente del consiglio diventò Vittorio Emanuele orlando; i socialisti rimasero indifferenti e anche gli interventisti non si fidarono più del parlamento. Nessuno assunse posizioni estreme come in Russia.
Il nuovo governo guidato da orlando si occupò del fronte interno cioè cercò di evitare rivoluzioni tra la popolazione causate dalla carestia e dalla mancanza di soldi. Per rilanciare l’economia Orlando aumentò la produzione di acciaio e ghisa.
Intanto Diaz respinse gli attacchi degli austriaci, siccome nel 1918 la situazione della Germania e dell’Austria era disperata, Diaz ordinò di attaccare.
A Vittorio veneto le truppe austriache non riuscirono a resistere e ci furono ammutinamenti e diserzioni.
Il 4 novembre del 1918 cessarono le ostilità e l’Italia usciva vincitrice dalla guerra, però più divisa di quando aveva cominciato.

Repressione e propaganda
La storiografia si è occupata di capire come i soldati italiani abbiano vissuto la guerra. Molti erano di origine contadina e analfabeti.
Patria era un concetto incomprensibile e non volevano entrare in guerra. Le fonti usate dagli storici per capire la situazione al fronte sono i diari scritti da fanti.
La novità di questi anni fu che molti italiani ebbero il bisogno di usare la scrittura per sfogare le loro angosce e per mantenere i contatti con la famiglia.
I comandanti cercarono di evitare che le lettere contenenti avvenimenti negativi venissero spedite ma i controlli non furono così accurati.
Molti soldati dell’esercito vennero puniti attraverso tribunali militari, soprattutto i renitenti (quelli che non volevano andare in guerra) che erano emigrati all’estero.
Un’altro reato era quello di autolesionismo: i soldati si autoferivano per essere rimandati a casa, anche la diserzione veniva punita.
Le vittime del conflitto furono circa 1 milione.

Per rispondere all’ammutinamento e alla ribellione dei soldati, i generali ricorrevano alla pratica della decimazione ovvero estrarre a sorte un certo numero di soldati e ucciderli,  uno degli episodi più gravi fu l’ammutinamento della brigata Catanzaro dove due ufficiali morirono e 12 soldati vennero uccisi.
Dopo la disfatta di Caporetto i comandanti cambiarono l’atteggiamento verso le truppe e capirono che sarebbe stato più utile fare una propaganda e con l’aiuto della pubblicità cercarono di spiegare alla popolazione le ragioni della guerra.
Si trattava del primo esperimento di pedagogia di massa cioè influenzare l’opinione pubblica in massa per diffondere l’idea del patriottismo.
Tuttavia molti soldati impazzirono (allucinazioni, perdita della parola) e i medici non sapevano come curarli

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